La Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione è stata chiamata a decidere in merito alla legittimità o meno delle sanzioni disciplinari (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sette giorni) inflitte a due dipendenti  i quali si erano rifiutati di avviare un treno (causando un disservizio per i passeggeri a causa del ritardo nella partenza) in quanto all’interno dello stesso rilevavano la mancanza della cassetta di pronto soccorso in dotazione ai macchinisti.

Nonostante l’ordine scritto, i due lavoratori si erano ancora rifiutati ritenendo che la stessa imposizione fosse illegittima e che eseguirla costituisse un reato per la violazione della normativa anti-infortunistica. Il giudice adito aderiva alla tesi prospettata dai lavoratori accogliendone le domande di annullamento delle sanzioni (cfr. Tribunale di Livorno, Sentenza 8 ottobre 2003, dichiarata l’illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate).

Avverso la sentenza di primo grado il datore di lavoro propone appello, censurandola nella parte in cui ha erroneamente ritenuto che i lavoratori non potessero procedere all’avvio del treno senza la cassetta di pronto soccorso, «esistendo peraltro disposizioni interne per le quali la mancanza del presidio poteva essere ovviata con la sosta in stazione quando, come nella specie, si fosse trattato di percorsi per i quali erano previste numerose fermate» (cfr. Corte d’Appello di Firenze, Sentenza depositata il 13 dicembre 2006, accolto il gravame e dichiarata la legittimità delle sanzioni disciplinari inflitte).

Ebbene, proposto ricorso per cassazione da parte dei dipendenti, i supremi giudici ne dichiarano infondati i motivi addotti, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

Si legge nelle motivazioni: «È infatti pacifico tra le parti che, ai sensi dell’art. 94 del c.c.n.l. di categoria, il dipendente non possa esimersi dal rispettare l’ordine scritto impartitogli dall’azienda, a meno che esso non configuri un reato. A prescindere pertanto dall’interpretazione delle norme citate in materia di presidi sanitari sul luogo di lavoro, e nel comparto ferroviario in particolare, è sufficiente rilevare che i dipendenti si rifiutarono di eseguire l’ordine scritto, senza che questo configurasse da parte dei dipendenti alcun reato. Ed invero quest’ultimo poteva configurarsi solo in capo del datore di lavoro o dei dirigenti preposti, come previsto dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 58, e non già del dipendente. Ed invero la prevista punibilità del datore di lavoro per la mancata osservanza delle disposizioni in materia del presidio di pronto soccorso, non rende penalmente illecita la conduzione del treno da  parte dei lavoratori, non configurandosi pertanto nella specie l’ipotesi di legittimo rifiuto di adempiere ad un ordine illegittimo configurante reato per colui che lo esegue di cui all’art. 94, lett. g) del c.c.n.l. (come esposto dagli stessi ricorrenti a pag. 31 del ricorso).Deve semmai notarsi che questa Corte ha in materia affermato che vi è un obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro, ai sensi del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 5, lett. c), (che deve essere sempre osservato dai lavoratori, anche quando essi abbiano la certezza che le menzionate deficienze siano già note ai suddetti soggetti, risolvendosi l’omessa segnalazione in una colpevole inerzia, la quale – pur non interrompendo il nesso di causalità tra il comportamento omissivo dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti e gli eventi dannosi subiti dai lavoratori – può concretarsi in un concorso di questi ultimi nella produzione dei medesimi eventi (Cass. n. 4493 del 21/04/1995). Nella specie tale obbligo di segnalazione è risultato ampiamente adempiuto dai ricorrenti, tanto da rifiutarsi infine di far partire il treno, sicché, anche sotto tale profilo, la censura risulta infondata» (cfr. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7318, depositata in Cancelleria il 22 marzo 2013, camera di consiglio del 31 gennaio 2013).

L’indirizzo giurisprudenziale appena analizzato porta ragionevolmente a concludere che l’interesse per la sicurezza non trasforma tuttavia il lavoratore a sorta di decisore ultimo sulla sua stessa condotta da assumere in presenza di talune situazioni, anche se obiettivamente contrastano con le norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel senso che solo in casi di imminente necessità è possibile l’intervento autonomo diretto del lavoratore stesso per porre rimedio a situazioni di oggettivo incombente pericolo per se e per gli altri.

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