L’imbarco e lo sbarco di persone a bordo di navi che si trovano in rada (all’ancora) o in navigazione è effettuato principalmente grazie a scale chiamate “biscagline”. Queste sono delle scale di corda con pioli piani in legno e la loro costruzione, certificazione e utilizzo è indicato nella Convenzione internazionale sulla salvaguardia della vita umana in mare SOLAS 1974.

Oltre a prevedere le modalità di costruzione, la norma indica, al comma 1 del paragrafo 3.3 del regolamento 23 che questo tipo di scala debba essere utilizzato ad una distanza minima di 1,5 mt. e una massima di 9 mt. dalla superficie dell’acqua. Qualora l’altezza del ponte di coperta, il primo ponte scoperto della nave, sia superiore a 9 mt. dalla superficie dell’acqua, la biscaglina deve essere utilizzata congiuntamente allo scala reale, o scalandrone, della nave che deve opportunamente essere calato, grazie ai suoi sistemi di salita e discesa, nelle vicinanze del punto nel quale la biscaglina è appunto a 9 mt. dalla superficie dell’acqua.

Stiamo parlando di una scala di grande importanza per qualsiasi nave perché consente ai piloti del porto, ma anche a tutta una serie di persone, quali tecnici, ispettori, funzionari doganali e delle autorità marittime, di poter salire a bordo quando la nave si sta approssimando al porto o quando, comunque, questa è lontana da una qualsiasi banchina.

Per evitare danni alla persona coinvolta nell’uso delle scale, è opportuno a mio parere porre l’attenzione sulla necessità di introdurre obblighi d’uso di DPI che proteggano da eventuali caduta accidentali. Stiamo considerando delle scale che salgono a 90° rispetto alla superficie dell’acqua, non hanno alcun vincolo alla murata della nave, se non il sistema di aggancio al ponte di coperta, e che quindi posso essere considerate alla stregua di banalissime scale portatili con rischi di utilizzo, però, sicuramente maggiori.

Nella normativa nazionale, il D. Lgs. 81/2008, abbiamo una chiara e inequivocabile definizione di lavoro in quota: l’Art. 107 indica che qualsiasi attività al di sopra di mt. 2 da un piano stabile deve considerarsi lavoro in quota. Nella fattispecie, lo scenario è completamente differente in quanto stiamo considerando attività svolte non sulla terra ferma, non di meno ritengo non possa essere considerato differente il rischio.

Normativamente parlando molte soluzioni potrebbero essere suggerite, a cominciare da una diversa utilizzazione dello scalandrone della nave; la circolare IMO (International maritime organization) MSC.1/Circ. 1331 al punti 3.4.1 definisce che lo scalandrone della nave deve essere realizzato in modo che la piattaforma inferiore possa raggiungere un’altezza minima dalla superficie dell’acqua di appena 60 cm. Basterebbe, a questo punto, la modifica del comma 1 del paragrafo 3.3 del regolamento 23 della SOLAS ’74 che indichi come l’altezza minima della biscaglina dall’acqua sia 1,5 mt. mentre quella massima sia inferiore a 2 mt. e che, ad un’altezza superiore, sia necessario l’utilizzo congiunto di biscaglina e scalandrone della nave.

Ancora, potrebbe essere opportuno valutare l’introduzione di sistemi anti caduta da abbinare all’utilizzo della biscaglina come un dispositivo guidato su fune d’ancoraggio flessibile a norma della EN 353-2.

 

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